Due terzi del Parlamento: la posta in gioco

Sandra Bonsanti,
www.libertaegiustizia.it

A giudicare dal tono stizzito con cui Berlusconi ha ricordato il referendum del giugno 2006  che bocciò a furor di popolo (anche parte del “suo” popolo) lo stravolgimento della Costituzione firmato Calderoli, vuol dire che quella vicenda ancora lo ferisce. La riforma di allora era stata scritta da quattro “saggi” (Calderoli, Nania, D’Onofrio e Pastore) che si erano riuniti nell’estate del 2003 in una baita del Cadore. Ne erano usciti dopo qualche giorno in calzoncini corti e con un testo che riscriveva 53 articoli della Costituzione. In Parlamento la maggioranza di destra aveva respinto tutte le proposte, tutti i tentativi di discutere e emendare il testo presentati dall’allora opposizione, compreso lo sforzo di razionalizzare l’immenso “pasticcio” escogitato per distinguere il lavoro legislativo della Camera da quello del Senato. Nel momento del voto Camera e Senato non avevano raggiunto quei due terzi a cui oggi invece punta Berlusconi: secondo l’articolo 138 della Costituzione infatti se una riforma della Costituzione viene approvata in seconda lettura con i due terzi non è possibile poi fare un referendum.
Ecco la posta in gioco, oggi: varare un testo che sia votato da due terzi dei parlamentari, dunque maggioranza più buona parte dell’opposizione. E impedire al cittadino di esprimersi su una riforma tanto importante. Trattandosi di un Parlamento scelto ad hoc al momento delle liste elettorali è assolutamente verosimile che i numeri, se Pdl e Pd troveranno l’intesa, ci saranno. E addio Costituzione del ’48, rivista e aggiornata come si poteva sperare. Il futuro del nostro Paese sarà disegnato nel quadro di una Carta che porterà la firma di Silvio Berlusconi invece di Terracini, De Gasperi e De Nicola. Quei nomi oggi del resto dicono qualcosa soltanto a pochi reduci.

Ma è proprio necessario che si arrivi a questo? Berlusconi, nel suo discorso di chiusura del congresso del Pdl, ha sostenuto che la riforma di cui si parla oggi loro l’avevano già fatta e approvata ma che la sinistra indisse un referendum che con una campagna “irresponsabile” la cancellò. Ha precisato che essa prevedeva già fra l’altro la devoluzione, il ridimensionamento della Camera, un Senato delle Regioni, il rafforzamento dei poteri del primo ministro, la riforma della Corte Costituzionale, del CSM. Il punto è che la riforma dei quattro “saggi” della destra (che prevedeva anche di dare al primo ministro il potere di sciogliere il Parlamento che oggi appartiene al presidente della Repubblica), fu giudicata assai severamente dai maggior esperti di Costituzione, difficilmente definibili “di sinistra”. “E’ un premierato assoluto in una Costituzione incostituzionale, nel senso che si daranno poteri assoluti a un premier eletto direttamente distruggendo il sistema dei freni e dei contrappesi che è la ragion d’essere di una Costituzione” disse ad esempio Giovanni Sartori. “Una presa di potere, non una riforma” spiegò Leopoldo Elia.

Berlusconi pensa di ripresentare oggi la copia esatta di quella riforma bocciata tre anni fa dal popolo italiano? Pensa o gli è stato detto che questa volta otterrà i due terzi del Parlamento?

Il punto infatti non è quello di aggiornare anche profondamente la seconda parte della Costituzione, prevedendo l’abolizione del bicameralismo perfetto e modifiche che consentano una certa dose di semplificazione del sistema legislativo a cui difficilmente ci si potrebbe dire contrari. Il punto è un altro e molti fra gli intervenuti all’assise romana lo hanno esplicitato: il punto è il passaggio dal sistema parlamentare a quello presidenziale. Magari con un sistema di contrappesi ridotto all’osso o inesistente. Il punto è se il presidente del Consiglio può sciogliere a suo piacimento la Camera e dunque ottenere dai deputati un assenso servile e preventivo a qualunque legge. Il punto è il disegno complessivo delle istituzioni e delle garanzie, il quadro generale dei diritti e dei doveri dei cittadini italiani.

Il punto è che a nostro avviso privare il popolo della possibilità di esprimersi su una riforma tanto ampia, senza nemmeno un’assemblea costituente, sarebbe quasi un colpo di Stato…

Altro che popolo sovrano!