La legittimità del Parlamento

Pubblicato su la Repubblica 10.12.13

LA LEGITTIMITA’ DEL PARLAMENTO

 Alessandro Pace

La persistente indecorosa gazzarra a proposito delle conseguenze giuridiche della dichiarazione d’incostituzionalità del Porcellum deriva, da un lato, dall’ignoranza degli effetti delle sentenze d’accoglimento della Corte costituzionale, dall’altro dalla confusione tra legittimità giuridica e legittimità politica delle Camere.

In via di principio le sentenze che dichiarano l’incostituzionalità di una legge sono “retroattive”. Esplicano cioè effetti sui rapporti giuridici ancorché sorti in passato ma tuttora “pendenti” (vale a dire tuttora “giustiziabili”). In altre parole, dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza il magistrato che deve giudicare su un dato rapporto, dovrà applicare ad esso non la legge dichiarata incostituzionale ma la normativa quale risultante dalla sentenza della Consulta. Tale principio, assolutamente pacifico, viene però meno, nella giurisprudenza costituzionale, quando l’efficacia retroattiva della sentenza su un dato rapporto provocherebbe all’ordinamento pregiudizi (anche meramente politici) maggiori dello stesso mantenimento in vigore della legge ancorché incostituzionale. Così è avvenuto in diverse ipotesi tra le quali le dichiarazioni d’incostituzionalità della carente indipendenza dei tribunali militari (sentenza n. 266 del 1988), delle norme in materia di pensioni nel settore pubblico (sentenza n. 501 del 1988), della mancanza di un termine certo per la dismissione delle frequenze analogiche da parte di Retequattro (sentenza n. 466 del 2002).

In tutti tali casi la Corte o ha indicato una data precisa per la decorrenza dell’incostituzionalità oppure ha prospettato un significato interpretativo della norma dichiarata incostituzionale tale da operare “esclusivamente” per il futuro. Ebbene non ho dubbi che ciò sicuramente avverrà anche nella sentenza sul Porcellum, posto che le dichiarazioni d’incostituzionalità di leggi “costituzionalmente necessarie”, come le leggi elettorali, non possono mai pregiudicare il principio di continuità delle istituzioni. E quindi, pur volendo ipotizzare che i 140 deputati assegnati al PD grazie al premio di maggioranza rischierebbero il seggio se la loro convalida (e relativa proclamazione) non venisse effettuata prima della pubblicazione della sentenza della Consulta, certo è che tale sentenza ribadirà comunque, a prescindere dall’avvenuta convalida, la piena legittimazione giuridica di tutti i parlamentari. Del resto, se nel comunicato della Corte costituzionale del 4 dicembre si legge che «Resta fermo che il Parlamento può sempre approvare nuove leggi elettorali, secondo le proprie scelte politiche, nel rispetto dei principi costituzionali», è di tutta evidenza che, per la Corte, le Camere sono legittime giuridicamente, a prescindere dalla tempestiva convalida e proclamazione.

Quanto fin qui argomentato non significa però che il Parlamento (e non il solo PD) non sia stato delegittimato “politicamente”. A tal riguardo Grillo e Brunetta sembrano dimenticare che i vizi d’incostituzionalità del Porcellum rilevati dalla Corte consistono tanto nell’eccessivo premio di maggioranza quanto nelle liste bloccate, e questo secondo vizio inficia sia il risultato elettorale del PD che quello degli altri partiti, compresi Forza Italia e M5S.

Ma se il Parlamento è politicamente delegittimato non avendo “forza rappresentativa”, ne segue che d’ora in poi Governo e maggioranza parlamentare dovranno muoversi con circospezione. In altre parole, ferma restando l’attività di controllo e quella legislativa “ordinaria” politicamente rilevante (tra cui ovviamente l’approvazione della legge elettorale che – per inciso – dovrà tener conto anche del risultato del referendum popolare del 1993 favorevole al maggioritario), esistono invece dei paletti per ciò che riguarda l’approvazione di leggi costituzionali.

In altre parole, quand’anche Governo e maggioranza avessero i numeri necessari per far approvare con i due terzi il discutibilissimo d.d.l. costituzionale n. 813 (che prefigura un percorso legislativo agevolato per un numero “indeterminato” di leggi costituzionali relative alla Parte II della Costituzione), non sono politicamente in grado di approvare una siffatta megariforma costituzionale. Ma non solo. Quale mai “forza rappresentativa”, e quindi quale mai “forza politica” le Camere potrebbero esibire per pretendere di modificare la forma di governo della Repubblica italiana?

Pur sulla base di tali premesse, si deve però avvertire che ci sono materie nelle quali sarebbe legittima l’approvazione ex art. 138 di puntuali leggi costituzionali. Penso, a tal proposito, alla modifica dell’elenco delle materie di competenza legislativa concorrente delle Regioni modificato nel 2001. Un elenco criticato da tutti, che ha provocato un aumento a dismisura del contenzioso tra Stato e Regioni che ha ingolfato i ruoli d’udienza della Corte costituzionale. Analogamente si potrebbe ritenere a proposito della riduzione del numero dei parlamentari.