Audizione 1^ Commissione Camera dei Deputati – prof.ssa Manetti

Audizione davanti la Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati – 23 luglio 2013

di Michela Manetti – Ordinario di diritto costituzionale e di diritto dell’informazione all’Università di Siena

1. Sul significato di auto-sospensione del Parlamento che i passi sinora seguiti per l’avvio delle riforme istituzionali esprimono, e sulla inammissibile sostituzione del dibattito nel Parlamento e nel Paese con un sondaggio on-line che nessun Paese civile accetterebbe di affidare al Governo (tanto più se massimamente interessato a convincere l’opinione pubblica della bontà della revisione proposta, avendone fatto l’oggetto del proprio programma) rinvio al testo pubblicato ieri su costituzionalismo.it.

2. Sulla necessità di rispettare la procedura prevista dall’art. 138 Cost. per le riforme, piccole o grandi, della Costituzione, sottopongo alcune riflessioni sullo statuto delle regole procedurali. Forse appariranno troppo semplici, ma le cose importanti in genere sono semplici.

Si può pensare che i principi e i diritti della Costituzione siano sacri e vadano comunque rispettati, mentre le norme procedurali o strumentali siano meno importanti, e quindi possano essere derogate, ad esempio per accelerare i tempi o per facilitare la conclusione di un accordo. E chi si oppone a queste deroghe può essere facilmente accusato di formalismo.

In effetti, le procedure non vanno idolatrate, e non sono sacre in sé, ma in quanto assicurano la legittimazione del potere. Senza il rispetto delle regole previste ex ante, una volta per tutte, il potere appare infondato e arbitrario. Come l’imputato non può accettare di essere condannato all’esito di un procedimento irrispettoso delle regole, così ai cittadini non si può chiedere di accettare riforme della Costituzione che – qualunque sia la loro portata (magari limitata e ragionevole, come auspico) − siano state, dichiaratamente, approvate con una procedura escogitata per l’occasione.

Dagli insegnamenti di Weber e di Kelsen la dottrina costituzionale ha appreso che le regole del giuoco, in regime di pluralismo, diventano parte essenziale del patto stretto tra i consociati : nella diversità delle opinioni che regna in merito alle scelte interessanti la collettività, esse rappresentano un punto fermo, una modalità non contestabile per comporre, o cercare di comporre, il conflitto tra le idee.

La filosofia del diritto ha poi chiarito che si tratta di norme costitutive, cioè di norme che non prescrivono (o descrivono) qualcosa, ma che sono la condizione di esistenza dell’attività che disciplinano. Come notava Alf Ross, sono le norme che rendono pensabile il giuoco (e perciò il confronto tra gli avversari). Per questo motivo esse – a differenza dei principi sostanziali − non possono essere applicate in modo parziale o graduale, né possono essere bilanciate con altri valori (quali ad esempio la rapidità della decisione) : il cavallo nel giuoco degli scacchi può fare (o non fare) soltanto una mossa ; se pretende di farne una diversa, vuol dire che non si sta più giocando a scacchi.

Ma se non si gioca a scacchi, bisogna stabilire, prima di cominciare la partita, a che cosa si vuole giocare (ad es. a dama, o a qualcos’altro di nuova invenzione), e convenire quali regole si rispetteranno sino alla fine della partita.

Fuor di metafora, i soggetti politici possono bensì scegliere di cambiare l’art. 138 Cost., ossia di modificare le regole del giuoco, compatibilmente con i principi supremi della Costituzione. Non possono, invece, decidere di sospenderne l’efficacia in relazione alle sole riforme istituzionali oggi in esame.

3. Non ritengo pertanto corretto trattare allo stesso modo – come si è tentato di fare − la modificazione permanente, da un lato, e la deroga temporanea, dall’altro, che rappresenta invece una vera e propria sospensione della Costituzione.

E mi sembra formalistico affermare, sul piano del diritto positivo, che una legge di sospensione dell’art. 138 Cost. sia una comune legge costituzionale. Ho sempre pensato che le leggi costituzionali abbiano lo scopo di sviluppare e articolare le generali previsioni della Costituzione con riferimento a questioni specifiche (come gli Statuti delle Regioni speciali) che non è necessario trattare nel testo della Costituzione, anche per non appesantirlo.

Il d.d.l. cost. proposto dal Governo rimane invece una legge di revisione costituzionale, e non mancano buoni argomenti per sostenere che la modalità prescelta della sospensione urti contro il principio supremo di certezza e di affidamento del cittadino, massimamente rilevante in materia di revisione costituzionale. L’assenza di una previsione che vieti espressamente tale modalità, quale è prevista dal Grundgesetz, non è sufficiente, in altri termini, a ritenerla per ciò stesso ammissibile.

In definitiva, a mio avviso la modifica permanente appare in via di principio ammissibile, mentre la sospensione è a priori illegittima : e ciò vale per qualsiasi tipo di norme procedimentale, non solo per quelle poste dall’art. 138 Cost.

In particolare, la deroga una tantum è da ritenere illegittima anche per le norme sul procedimento legislativo ordinario poste dall’art. 72 Cost., contrariamente a quanto ritenuto da Massimo Luciani. Le critiche rivolte al d.d.l. cost. proposto dal Governo sotto il profilo della violazione del bicameralismo o del potere di emendamento spettante ai singoli parlamentari non toccano pertanto la sola opportunità politico-costituzionale, ma anche e prima di tutto la legittimità del testo in esame.

La deroga all’art. 138 e all’art. 72 Cost. si rivela poi manifestamente irrazionale laddove si accompagna alla esplicita previsione che tali norme dovranno mantenere la propria validità per le riforme, costituzionali o ordinarie, a venire. Il d.d.l. in esame prevede infatti esplicitamente, all’art. 6, comma 2, che “per la modificazione delle leggi costituzionali od ordinarie, approvate secondo quanto stabilito dalla presente legge costituzionale, si osservano le norme di procedura rispettivamente previste dalla Costituzione” .

Come può non ritenersi contraddittorio ribadire la intangibilità di queste previsioni costituzionali, nel momento in cui se ne dispone la rottura ? Chiunque minimamente avvezzo al ragionamento giuspubblicistico rinverrebbe in un caso del genere il tipico sintomo dello sviamento di potere ; chi non ritenesse applicabile al potere legislativo tale vizio, parlerebbe di elusione o frode alla Costituzione.

Se in uno Stato di diritto la modifica (permanente) delle norme procedurali che sia finalizzata esplicitamente ad una occasio non può non incontrare diffidenza, la deroga temporanea solleva invero il fondato sospetto che la volontà parlamentare si sia formata in modo deviato, mossa da finalità opache o inconfessabili.

4. In contrario si potrebbe addurre che la finalità, in questo caso, è palese e legittima, e consiste nella necessità di far presto. Quanto già detto sullo statuto delle norme procedurali va allora precisato in questo senso : che esse non sono scritte per i tempi nei quali tutto va bene, quando i problemi si possono affrontare con calma e ponderazione.

Al contrario le regole procedimentali della Costituzione sono state scritte proprio per evitare che in tempi difficili, sull’onda dell’emergenza, prevalga la necessità della decisione nel senso indicato – tragicamente – da Carl Schmitt.

Egli invero riteneva che la Costituzione scritta, con le sue procedure, serve a regolare la politica ordinaria, ovvero la gestione quotidiana della vita collettiva. Ma quando all’orizzonte insorgono veri conflitti, l’unica norma applicabile – a dispetto della Costituzione formale e di tutte le sue garanzie – diventa quella, non scritta, che attribuisce il potere di decisione a chi ha la forza di di imporla : a chi può offrire una soluzione immediata, per quanto opinabile, che vale non perché è frutto di un ragionamento pubblico e collettivo, ma perché può contare sull’adesione puramente emotiva dei cittadini.

Ora, è evidente che il soggetto capace di assumere su di sé un potere del genere non può essere il Parlamento : la rappresentanza non è il regno della decisione unilaterale e immotivata.

Il Parlamento può soltanto prestarsi a sancire formalmente una decisione assunta altrove. Ma è appunto questo che la Costituzione repubblicana, nelle disposizioni contenute negli artt. 70, 72, 76, 77, e massimamente nell’art. 138, vieta : che le Camere rinunzino al proprio ruolo.

Il d.d.l. cost. è quindi complessivamente incostituzionale non solo in quanto illegittimamente deroga alla norma procedurale suprema (l’art. 138 Cost.), ma anche perché la deroga, in concreto, corrisponde, dettagliatamente e sistematicamente, alla ratio di ridurre, semplificare e affrettare il confonto parlamentare.

In definitiva, sarebbe esiziale per il Parlamento e per l’intero sistema trattare la revisione della Costituzione come se fosse la conversione di un decreto legge. Eppure è quello che rischia di avvenire con il d.d.l. cost. n. 813, se verrà approvato e ancor di più se verrà approvato con la maggioranza dei due terzi, precludendo la proposizione del referendum popolare.