Non diamo alla Costituzione colpe non sue

CORRIERE DELLA SERA – 12 OTTOBRE 2007

Non diamo alla Costituzione colpe non sue
di Franco Bassanini

Caro direttore, partiamo, come sempre si dovrebbe, dal fatto. Giorni fa viene diffusa una “lettera aperta” ai candidati alla guida del Partito democratico. E’ firmata da molti ex presidenti della Corte costituzionale (Zagrebelsky, Elia, Onida, Vassalli, Ferri, Casavola, Capotosti), da Giuliano Amato, da Oscar Luigi Scalfaro, da alcuni dei più noti costituzionalisti italiani (Cheli, Luciani, Carlassare, Pizzorusso, Sorrentino, Pastori, Cerulli Irelli, Cammelli, Zaccaria, Torchia), e da personalità del diritto, dell’economia e della cultura (Spaventa, Pajno, Scoppola, Maccanico, Gae Aulenti, Bonsanti, Bachelet, Carlo Federico Grosso, Ranci, Passigli). I trenta firmatari chiedono impegni precisi su tre questioni: una drastica riduzione dei costi della politica; una rigorosa etica pubblica, e dunque la fine di ogni commistione tra politica e affari; e la fine dell’epoca delle riforme costituzionali “di parte”, imposte a colpi di maggioranza. Sulle tre questioni la lettera aperta dà giudizi coraggiosi e duri, denunciando gli errori e le incoerenze tanto del centrodestra quanto del centrosinistra. Veltroni, Bindi e Letta rispondono in modo chiaro e impegnativo.
Sulla riduzione dei costi della politica (a partire dal “taglio” del numero dei ministeri, tornando al governo snello previsto dalla riforma del 1999) non ho letto critiche. Ma aspettiamo i fatti. Polemiche ha suscitato invece, anche sul “Corriere”, la richiesta di “mettere in sicurezza” la Costituzione, elevando la maggioranza necessaria per approvare le riforme costituzionali. Si tratta del primo punto del programma elettorale del centrosinistra; e di un principio cardine del costituzionalismo liberale e democratico: secondo cui chi vince le elezioni ha diritto di governare e
di attuare il suo programma; ma la Costituzione (e dunque i diritti, le libertà, le regole democratiche che in essa sono sanciti) non può essere alla mercè della maggioranza del momento, non è “bottino” del vincitore, deve garantire tutti, anche le minoranze. Dunque la si cambia insieme, con maggioranze bipartisan: la certezza dei diritti, delle libertà e delle regole è la maggior conquista del costituzionalismo liberaldemocratico.
Chiedere che anche da noi (come in molte altre democrazie liberali, dagli USA alla Germania) le riforme costituzionali debbano essere approvate a maggioranza qualificata (due terzi, o tre quinti dei parlamentari) non significa essere conservatori. Significa solo dire basta alle riforme di parte. Che poi falliscono, come la riforma della destra bocciata sonoramente dal referendum del 2006; o si insabbiano, come la riforma del tritolo V, votata dal centrosinistra, ma poi non attuata dalla nuova maggioranza di centrodestra che non l’aveva condivisa (donde un infinito contenzioso tra Stato e Regioni). E significa anche dire basta a un’idea selvaggia del bipolarismo, per cui chi vince si appropria di tutto (dalla Costituzione alla pubblica amministrazione, dall’economia all’informazione); e non c’è alcuno spazio per le necessarie riforme bipartisan.
Nella “Lettera aperta” i Trenta affermano che una “coraggiosa azione di ammodernamento delle nostre istituzioni” è oggi “necessaria”. E ricordano che “le molteplici esperienze delle grandi democrazie parlamentari europee – dalla Gran Bretagna alla Germania, dalla Spagna alla Svezia – mostrano come possano costruirsi soluzioni innovative capaci di migliorare il funzionamento delle nostre istituzioni democratiche senza travolgere i principi della Carta del 1948”. E’ questa la strada che sta percorrendo la prima Commissione della Camera che ieri ha approvato – a larga maggioranza – una riforma ispirata ai modelli tedesco, britannico e spagnolo: tre democrazie che hanno dato buona prova. E’ una strada che merita di essere proseguita, estendendola alla non meno necessaria riforma elettorale. Anche in tal caso le grandi democrazie europee ci offrono modelli che hanno funzionato. Non possiamo scegliere tra essi?
Capisco che tutto ciò non basta a Panebianco, che della nostra Costituzione non condivide nulla, neppure i principi e i valori della sua prima parte. Tanto da preferirle la sgangherata riforma del 2005 (nota come devolution). Sulla quale non deve fare i conti con le mie opinioni, ma con le critiche radicali di Giovanni Sartori e del 99 per cento dei costituzionalisti italiani. E con l’esito del referendum del 2006: allora una larga maggioranza degli italiani confermò la sua adesione ai principi e ai valori della Costituzione. Che dunque può (e deve) essere aggiornata, corretta, migliorata, ma non demolita o sconvolta, nei suoi principi e nel suo impianto.
Mettiamo dunque in sicurezza la Costituzione e facciamo con metodo bipartisan una buona riforma istituzionale e una buona legge elettorale, usando i modelli europei. Ed evitiamo di addossare alla Costituzione colpe di altri (dei partiti, del sistema elettorale, dei regolamentiparlamentari). In questo modo non convinceremo Panebianco; ma riusciremo a far funzionare la democrazia italiana.

P.S. Ringrazio Panebianco del suo apprezzamento personale. E voglio rassicurarlo. Non c’è bisogno della Costituzione gollista e del decisionismo di Sarkozy per vedere attuate le riforme dell’amministrazione rimaste in Italia a metà del guado. Una riforma dichiaratamente ispirata al “modello Bassanini” l’ha varata, infatti, Zapatero, in un Paese che ha una Costituzione largamente copiata dalla nostra. Ma che ha – non a caso – una assai migliore legge elettorale!