Associazione “Salviamo la Costituzione. Aggiornarla, non demolirla”
Novembre 2024
Ai sensi dell’articolo 33 della legge n. 352 del 1970 entro e non oltre il 20 gennaio la Corte costituzionale si riunirà in camera di consiglio per valutare l’ammissibilità del referendum che richiede l’abrogazione della legge n. 86 del 2024.
La giurisprudenza in materia di referendum è notoriamente ondivaga. Nel nostro caso però appaiono solidi gli argomenti che sostengono le ragioni dell’ammissibilità e il favor referendario dovrebbe far superare ogni ulteriore ricerca di appigli che possano impedire al corpo elettorale di pronunciarsi ai sensi dell’articolo 75 della Costituzione, esercitando un suo diritto costituzionale.
In particolare, tre sono le principali obiezioni che vengono avanzate per contrastare l’ammissibilità. Tutte ci sembrano infondate.
1. Il presunto collegamento con la legge di bilancio
Il primo argomento fa riferimento al collegamento con la legge di bilancio. L’obiezione che viene proposta si radicherebbe nel fatto che la legge Calderoli è stata inserita tra i “disegni di legge collegati” e in alcune sentenze la Corte ha esteso l’inammissibilità del referendum oltre che direttamente alla legge di bilancio (in quanto espressamente indicata dall’articolo 75 Costituzione), anche a quelle disposizioni che alla legge di bilancio si collegavano. La Consulta, però, ha sempre tenuto ad evidenziare come questa connessione dovesse operare “al di là della loro qualificazione formale”, che “di per sé non [è] idonea a determinare effetti preclusivi in relazione alla sottoponibilità a referendum” (così la sent. n. 2 del 1994). Consapevole la Consulta che altrimenti basterebbe includere un qualunque disegno di legge tra i “collegati” alla finanziaria per impedire il referendum: rimane dunque “intatta l’esigenza di non ampliare eccessivamente l’orbita del divieto di cui all’art. 75, secondo comma della Costituzione” (così in modo chiaro nella sent. n. 6 del 2015). È sulla base di questo nesso sostanziale con la manovra di bilancio che la Corte in passato ha dichiarato l’inammissibilità di richieste referendarie, ma adesso è proprio questa stessa giurisprudenza che dovrebbe garantire l’ammissibilità del quesito sull’autonomia differenziata, stante che ora il collegamento con la legge finanziaria è puramente formale, mentre è esplicitata la dichiarazione di invarianza finanziaria “nell’applicazione della presente legge” (così espressamente si scrive all’art. 9, della legge n. 86 del 2024), mentre l’individuazione delle modalità di finanziamento delle funzioni trasferite saranno definite dalle successive intese, cui la legge in oggetto espressamente rinvia (art. 5, secondo comma). Pertanto, nessuna incidenza diretta sugli equilibri finanziari può imputarsi alla legge Calderoli, legge di natura procedurale e non di spesa. In questo caso, dunque, per usare le parole della Corte, dovrebbe essere evidente che non sussiste il presupposto necessario per dichiarare l’inammissibilità, ovvero “quello stretto collegamento delle disposizioni legislative oggetto dei quesiti referendari con le leggi di bilancio, tale da escludere l’ammissibilità delle richieste referendarie” (così ancora la sent. n. 2 del 1994).
In conclusione sul punto, deve ritenersi che la legge Calderoli (l. n. 86 del 2024) è una normativa di natura meramente procedurale inidonea di per sé a produrre effetti “nell’ambito di operatività delle leggi di bilancio”; tantomeno appare una legge essenziale per la realizzazione degli equilibri finanziari e di bilancio, che sono le condizioni ritenute necessarie per incorrere nella preclusione di cui (indirettamente) all’articolo 75 (sul punto vedi, ad esempio, la sent. n. 12 del 1995). Dunque, la richiesta di abrogazione per via referendaria è da ritenere ammissibile.
2. La presunta classificazione della legge come “a contenuto costituzionalmente necessario”
La seconda obiezione riguarda la natura della legge Calderoli che – secondo un’ipotesi da ritenersi infondata – sarebbe da classificare tra le leggi “a contenuto costituzionalmente necessario” se non addirittura tra quelle “costituzionalmente vincolate”. Ciò che ha determinato in passato la inammissibilità dei relativi quesiti è stato il timore manifestato dalla Corte che l’abrogazione, e la conseguente eliminazione della normativa vigente, determinasse “la soppressione di una tutela minima per situazioni che tale tutela esigono secondo Costituzione” (così la sent. n. 35 del 1997), ovvero anche solo che siano in grado di impedire di dare attuazione ad istituti, organi, procedure, principi stabiliti o previsti dalla Costituzione (vedi in tal senso la sent. n. 16 del 1978). Anche in questi ultimi casi, però, specifica opportunamente la Consulta, non basta un collegamento formale ad una qualunque disposizione costituzionale, è necessario che da tale abrogazione derivi una concreta lesione di quel minimo di tutela precedentemente concessa ovvero sia un’abrogazione finalizzata a cancellare una disciplina dettata dalla stessa Corte costituzionale (vedi in tal senso la sent. n. 26 del 1981 e la sent. n. 45 del 2005). Nessuno di questi casi è riferibile alla legge Calderoli, che è una legge ordinaria di natura procedurale, per nulla necessaria (tantomeno vincolata) per dare attuazione all’articolo 116, terzo comma della Costituzione. Lo testimonia il fatto che le intese tra Stato e Regioni possono essere approvate dal Parlamento ai sensi dell’attuale disposizione costituzionale direttamente, anche in assenza di una ulteriore legge di procedura, ritenuta attuativa della disposizione costituzionale (il governo Gentiloni, che ha iniziato il processo, era infatti così orientato, e così anche il successivo Governo Conte I), né, in ogni caso, le intese (per meglio dire: le successive leggi rinforzate di approvazione parlamentare delle intese) possono essere ritenute vincolate da una legge ordinaria precedente (com’è ora con la legge Calderoli). Se le future intese possono essere approvate anche in assenza o in deroga alla normativa vigente, va da sé che non siamo di fronte ad una normativa costituzionalmente necessaria o vincolante.
Neppure la tutela minima che sarebbe comunque apprestata dalla legge Calderoli può essere richiamata. A differenza che nei casi precedenti (in particolare le sent. n. 26 del 1981 e n. 35 del 1997) non può ora richiamarsi nessuna abrogazione di una disciplina vigente che opera un minimo di protezione di situazioni a contenuto costituzionalmente vincolato. Per quanto riguarda la parte relativa all’emarginazione del Parlamento, in caso, risulta realizzare una normativa limitativa delle prerogative parlamentari e costituzionali; per quanto riguarda la parte dedicata alla “determinazione” dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (Lep), essa si limita a definire un percorso per la loro individuazione e a definire i principi relativi all’attribuzione delle future risorse finanziarie, umane e strumentali alle funzioni trasferite, ma non appresta nessuna tutela diretta ad “assicurare” il loro necessario rispetto, come indiscutibilmente emerge dalla clausola espressa di invarianza finanziaria.
Anche per questo punto, dunque, la richiesta di abrogazione per via referendaria è da ritenere ammissibile.
3. La presunta disomogeneità del quesito
La terza obiezione denuncia una presunta disomogeneità del quesito che conterrebbe oggetti, disposizioni e discipline diverse. Questa obiezione non tiene conto che il referendum contro l’autonomia differenziata ha natura dichiaratamente abrogativa. Almeno da questo punto di vista assolutamente in linea con quanto imposto dall’articolo 75 della nostra Costituzione, che prevede espressamente l’abrogazione totale dell’intera legge. Non è applicabile, dunque, al caso di specie tutta quella pur ampia ma controversa giurisprudenza (ad iniziare dalla sent. n. 16 del 1978) elaborata per limitare i referendum manipolativi o di abrogazione parziale della legge. In questo caso non viene proposta alcuna manipolazione del quesito, nessun ritaglio della normativa a fini di introdurre surrettiziamente una nuova regolamentazione, e puntuale appare la ratio che la ispira. La matrice razionalmente unitaria è intrinseca al quesito posto, che punta all’abrogazione totale della normativa vigente, senza scendere a distinguere i differenti casi: pertanto il quesito risulta “chiaro, univoco ed omogeneo”, come richiede la giurisprudenza costituzionale. La domanda è secca: “Volete voi che sia abrogata la legge 26 giugno 2024, n. 86” (la legge Calderoli). La nettezza del quesito, la sua semplicità, cioè essenzialità, rende inconfondibile, inequivocabile e chiara la domanda formulata agli elettori. Un quesito che è stato formulato in maniera da salvaguardare nel modo più proprio e rigoroso la genuina manifestazione della volontà popolare, che – in caso – sarebbe stata compromessa da una scelta arbitraria di commi, articoli o parti della legge, “indulgendosi al metodo della elaboratezza, che non si addice ed, anzi, contraddice all’istituto generale della abrogazione” (così la sent. 27 del 1981, ma vedi giurisprudenza costante sin dalla sent. n. 16 del 1978).
Nel nostro caso la scelta dei promotori del referendum è stata improntata alla chiarezza della domanda da sottoporre al corpo elettorale: unitaria e onnicomprensiva. Sarebbe contraddittorio ora imputare a tale univoca scelta di volere confondere l’elettore. Si tratta viceversa di un ritorno allo spirito del referendum e alla sua logica dicotomica, Sì o No alla legge vigente. Ciò dovrebbe portare a ritenere, anche in questo caso, l’ammissibilità della richiesta referendaria.