I nodi del Senato. Articolo di Alessandro Pace

Pubblicato su la Repubblica

il 18.11.2014

I nodi del Senato

Terminerà oggi la discussione generale della Camera dei deputati sul disegno di legge costituzionale Renzi-Boschi e il 24 scadrà il termine per la presentazione degli eventuali emendamenti. Mi pare perciò doveroso evidenziare le principali contraddizioni e i gravi pericoli istituzionali sottesi alla modifica del Senato qualora il testo, licenziato dal Senato nello scorso luglio, venisse approvato dalla Camera.

Premesso che 95 dei 100 senatori saranno eletti non direttamente dal popolo ma dai consigli regionali e dai consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano, il duplice problema che il d.d.l. pone con riferimento al futuro Senato è il seguente: il futuro Senato, non essendo eletto dal popolo, può legittimamente esercitare la funzione legislativa? In considerazione dei poteri attribuitogli dal d.d.l., potrà, il futuro Senato, costituire un contro-potere della Camera dei deputati?

1. Se si tiene presente che nei regimi democratici gli organi titolari del potere legislativo devono essere eletti dal popolo per la ragione determinante che la funzione legislativa costituisce una delle forme di esercizio della sovranità popolare, è di tutta evidenza che i poteri di revisione costituzionale e i poteri legislativi, attribuiti dal d.d.l. al Senato ancorché non eletto con suffragio universale e diretto, sono assai discutibili, e ciò anche perché la funzione legislativa verrebbe esercitata da parlamentari non responsabili nei confronti del popolo, come già accaduto e accade con i parlamentari eletti con liste bloccate. Ma non basta. Contro la scelta dell’elezione indiretta dei senatori da parte dei consigli regionali sollevano perplessità sia la ristrettezza dei collegi elettorali (solo 7 consigli regionali superano i 59 consiglieri), sia l’inopportunità di “promuovere” i consigli regionali a collegi elettorali senatoriali dopo tutti gli scandali che anche di recente li hanno caratterizzati.

Ciò detto, è inesatta l’analogia, a più riprese tentata, del futuro Senato italiano col Bundesrat tedesco. E ciò per la semplice ragione che gli ordinamenti federali succedutisi dal 1871 in poi – con la parentesi del nazismo – non hanno mai cancellato le preesistenti identità storico-istituzionali come invece fu fatto con l’unificazione del Regno d’Italia. I Länder non sono quindi i “grandi elettori” dei senatori, ma sono essi, in quanto titolari di diritti “propri”, i componenti del Bundesrat.

Più vicino al modello previsto nel d.d.l. è invece l’ordinamento costituzionale francese, il quale prevede che il Senato, dovendo assicurare «la rappresentanza delle collettività territoriali della Repubblica», viene eletto a suffragio indiretto. Qui però finisce l’analogia, perche le elezioni senatoriali francesi sono “vere” elezioni che coinvolgono circa 150.000 persone tra deputati, consiglieri regionali, consiglieri generali e delegati dei consiglieri municipali. Non quindi solo 19 consigli regionali e due consigli provinciali (e poco più di un migliaio di persone), come nel d.d.l. Inoltre, ben diversamente dal modello Renzi-Boschi, in Francia possono essere eletti senatori anche coloro che non siano consiglieri regionali. Ed è infine significativo, quanto al ruolo riconosciuto al Senato dall’ordinamento francese, che i suoi poteri sono identici a quelli dell’Assemblea nazionale.

2. Al fine di verificare la funzionalità del sistema – prescindendo dalla legittimità democratica dei poteri legislativi del Senato – è poi doveroso comparare il Senato alla Camera sotto il profilo della fonte di legittimazione, del numero dei componenti, del tempo dedicato alle funzioni parlamentari e dei poteri rispettivamente attribuiti,

Quanto alla fonte di legittimazione, i senatori sono “designati” da consiglieri regionali e non “eletti dal popolo”; il numero dei deputati è soverchiante (630 contro 100); imbarazzante è il poco tempo dedicato alle funzioni parlamentari da parte dei senatori, dovendo essi nel contempo svolgere le funzioni di consigliere o di sindaco, con un evidente spreco di pubblico denaro perché non si impegneranno sufficientemente né nelle une né nelle altre funzioni. Quanto infine ai poteri attribuiti alle due assemblee, quelli della Camera sono, anche qui, soverchianti: vanno dall’esclusività del rapporto fiduciario col Governo alla spettanza alla Camera in via generale del potere legislativo (collettivamente col Senato solo in alcuni casi) alla possibilità, in via di principio, di eleggere da sola, ancorché in seduta comune, il Presidente della Repubblica e un terzo dei componenti del CSM.

Pertanto è di tutta evidenza che la Camera non rinviene nel Senato un effettivo contro-potere esterno (tranne nel fatto che gli spetterà, da solo, il compito di eleggere due giudici costituzionali). Una situazione istituzionalmente ancor più grave se venisse approvato l’Italicum sia nella prima che nella seconda versione, in quanto ad avvantaggiarsi di questo concentrato di poteri legislativi e di indirizzo sarebbe in fin dei conti il Governo quale espressione della coalizione o del partito beneficiario del robusto premio di maggioranza, .

In presenza di questo accumulo di poteri in favore della Camera, ci si sarebbe aspettati quanto meno la previsione di contro-poteri “interni”. Invece il d.d.l. si è limitato a demandare le garanzie delle minoranze ai futuri regolamenti parlamentari (che, com’è noto, sono approvati a maggioranza assoluta!). Né il Governo si è preoccupato di prevedere la possibilità degli interessati di ricorrere alla Corte costituzionale contro le decisioni delle Camere in tema di ineleggibilità, incandidabilità e incompatibilità, come da anni e anni si invoca. Anzi il Senato ha addirittura escluso, salvo limitate eccezioni, l’esame in commissione dei disegni di legge che è il vero cuore del procedimento legislativo. Infine, nella fretta dei primi giorni dello scorso luglio, lo stesso Senato ha respinto gli emendamenti dei senatori M5S e PD volti ad introdurre, anche in Italia, il diritto delle minoranze di chiedere l’istituzione di commissioni d’inchiesta. Una garanzia tanto più necessaria in presenza di un Moloch come la futura Camera dei deputati.