Intervista al prof. Alessandro Pace

 Pubblicato su Fatto quotidiano il 15 giugno 2014

 ALESSANDRO PACE. «RENZI SBAGLIA, IL GOVERNO NON PUO’ TOCCARE LA CARTA»

di Silvia Truzzi

«Le vicende di questi giorni hanno un vizio di origine»: la diagnosi di Alessandro Pace, professore emerito di Diritto costituzionale alla Sapienza non è confortante. «In una Repubblica parlamentare la revisione costituzionale spetta al Parlamento e non al governo, e a tale principio (separazione tra Costituzione e legge ordinaria) si ispirò appunto la stessa Assemblea costituente che continuò a lavorare in piena concordia d’intenti fino all’approvazione della Costituzione, nonostante l’estromissione dal Governo De Gasperi dei Partiti comunista e socialista nel maggio 1947. Tale principio è rimasto fermo fino al 2005, ma prima Berlusconi (2005), poi Letta (2013), infine Renzi hanno invece avocato al Governo l’iniziativa della revisione della Costituzione.
La Costituzione però non lo vieta esplicitamente…
Esatto. Ma il sistema parlamentare sì. Se la tematica della revisione costituzionale entra nell’indirizzo politico di maggioranza, da un lato la Costituzione scade di livello, dall’altro si finisce per applicare al procedimento di revisione costituzionale le regole proprie del procedimento legislativo ordinario. Esemplare il precedente dello scorso anno: il disegno di legge costituzionale 813 AS costituì il frutto delle così dette “larghe intese” – volute dal Presidente Napolitano -su cui si basava il Governo Letta. Dovette però essere ritirato nel dicembre 2013 quando Forza Italia tolse l’appoggio al Governo. Se il disegno di legge 813 fosse stato svincolato dal programma di governo probabilmente sarebbe andato avanti…
E Lei che ha avversato tanto il d.d.l. n. 813, non è stato contento?
Certamente sì… Ma vorrei completare il mio pensiero.
Dica.
Ebbene, Letta, sia pure con minore esibizionismo di Berlusconi e di Renzi, tentò anche lui di piegare il procedimento di revisione costituzionale alla logica del procedimento legislativo ordinario, tant’è vero che al Senato egli chiese ed ottenne la dimidiazione dei termini propria dei procedimenti d’urgenza (cosa inaudita!). E da alcuni studiosi si preconizzò che il passo successivo avrebbe potuto essere la posizione della questione di fiducia sull’approvazione del disegno di legge costituzionale. Proprio per ciò, nell’audizione dello scorso 13 maggio dinanzi alla Commissione Affari costituzionali del Senato, io ritenni di dover sottolineare che la revisione della Costituzione in un sistema parlamentare compete in esclusiva al Parlamento, e che pertanto mi sembrava preoccupante la dichiarazione del Presidente Renzi di una ventina di giorni prima, secondo la quale egli intendeva “blindare” la sua maggioranza . Ciò che sta succedendo in questi giorni rientra in questa diversa logica “governativa”, anche se Renzi ci ha messo del suo indirizzandosi sarcasticamente a Corradino Mineo – reo di difendere la Costituzione e il Senato elettivo – e ai 14 senatori che si sono “autosospesi”. Comunque sia, Renzi insiste soprattutto sul fatto che l’abolizione del Senato sarebbe stata più volte approvata dal PD e che pertanto i senatori Mineo e Chiti già solo per questo dovrebbero votare in favore del disegno di legge costituzionale che elimina il Senato elettivo. Dal canto suo, il Presidente del gruppo parlamentare PD, senatore Zanda, afferma che l’art. 67 della Costituzione (che tutela il libero mandato parlamentare) non si applicherebbe ai lavori in commissione.
E non è così?
Non lo credo perché se il libero mandato è riconosciuto, sarebbe assurdo che venisse tutelato solo in assemblea. Tuttavia, quand’anche fossero calzanti sia l’argomento di Renzi che quello di Zanda, essi si applicherebbero tutt’al più alle leggi che rientrano nell’indirizzo politico di maggioranza e non, per quanto detto, alle leggi di revisione costituzionale. Né mi si può venire a dire che le sostituzioni del senatore Mauro e dei senatori Mineo e Chiti siano state autonomamente decise dai Presidenti dei gruppi. A parte quanto esplicitamente dichiarato (e poi corretto) dal Ministro delle Riforme secondo la quale la decisione delle sostituzioni è stata del Governo, e cioè del Presidente-segretario, oggi su Repubblica si legge che Renzi parrebbe intenzionato a rivendicare pubblicamente di essere il mandante di quanto accaduto in commissione.