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VOTIAMO NO AL REFERENDUM [Versione stampabile]
Documento approvato dalla Direzione nazionale delle ACLI

VOTIAMO NO AL REFERENDUM


La Direzione Nazionale delle ACLI, come già dichiarato nel documento del 15 dicembre 2005,
ribadisce la sua contrarietà alla legge di riforma costituzionale, approvata nel mese di novembre del 2005 e sottoposta a referendum confermativo che si svolgerà i prossimi 25 e 26 giugno.

1.
I motivi di contrarietà riguardano anzitutto il metodo con cui è stata approvata la riforma, con soli 9 voti in più della maggioranza richiesta nell’ultima lettura, e soltanto dai partiti della coalizione di governo. Questo metodo è inaccettabile: le norme costituzionali, infatti, per loro natura, fondano l’identità nazionale, i diritti irrinunciabili e i principi fondamentali del rapporto tra lo Stato e i cittadini. Condivisione, dibattito, confronto e ampio consenso costituiscono il presupposto irrinunciabile per intervenire sul dettato costituzionale. Per questi motivi, la Direzione Nazionale afferma che queste norme non devono essere modificate se non con una maggioranza qualificata e trasversale. Ad avvalorare questo principio vale la genesi stessa della Costituzione Italiana che, sin dalla sua approvazione originaria, ha ottenuto il voto dell’ottanta per cento dei componenti l’Assemblea costituente, ha poi visto convergere sul voto riguardante le sue modifiche, maggioranze parlamentari più ampie di quelle che sostenevano il Governo. Giova inoltre ricordare che le Acli hanno più volte dichiarato, in documenti ufficiali e nel corso del dibattito politico sviluppatosi nel Paese, che l’approvazione a stretta maggioranza delle modifiche del Titolo V della Costituzione operata dai partiti del centro sinistra nel 2001, fu un errore. Un errore che, in quanto tale, non doveva essere più ripetuto.

La Direzione Nazionale afferma che le riforme della Carta Costituzionale non dovevano, non devono e non dovranno mai essere affidate alla sola maggioranza di governo, tanto meno a ristrette maggioranze, né le sue eventuali modifiche possono essere strumentalizzate da interessi di parte o da opportunità politiche contingenti.
Le riforme costituzionali
devono, attraverso l’incontro
e il dialogo tra culture politiche diverse o addirittura contrapposte, essere coerenti con il rispetto dell’identità nazionale ovvero condivise a prescindere dai rapporti di forza parlamentare, come può avvenire per l’ordinaria politica del paese.



2.
Oltre ai motivi di contrarietà rispetto al metodo, che mai come nella materia costituzionale si fa sostanza, la Direzione Nazionale delle Acli conferma anche la contrarietà alla riforma suddetta con riferimento a motivi di merito. La riforma appare viziata complessivamente da una logica di scambio avvenuto attraverso la sommatoria eterogenea delle varie posizioni in materia costituzionale presenti nei partiti che componevano la maggioranza di centro destra. Tali posizioni prevedono un primo ministro “centralista” e forte nei suoi poteri, una maggioranza parlamentare succube, e contestualmente un “federalismo” dichiarato, con meccanismi complessi nella composizione territoriale, ma depotenziato dal principio dell’interesse nazionale. Sono solo alcuni degli elementi che fanno comprendere come questa riforma sia evidentemente contraddittoria.

La Direzione nazionale non può che affermare, con ancora maggior vigore, la sua contrarietà ad alcuni elementi specifici della riforma che destano preoccupazione e sconcerto.
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Il dispotismo del Primo ministro
In tutti i paesi di democrazia avanzata non è dato riscontrare che un voto di sfiducia della Camera al Primo Ministro ne possa determinare lo scioglimento da parte dello stesso Primo Ministro sfiduciato, con l’effetto dirompente che è sostanzialmente la Camera che si regge sulla “fiducia” del Primo Ministro e non il contrario. Un Primo Ministro perdipiù che, per la riforma, “è eletto a suffragio universale e diretto del popolo” e che può dunque porre alla Camera la “sfida” della sua “fiducia” sostanzialmente a suo arbitrio. A nulla vale la previsione del tutto teorica di una “sfiducia costruttiva” a favore di un nuovo e diverso Primo Ministro espressione della stessa maggioranza, in quanto tale sfiducia avrebbe bisogno di un numero elevato di parlamentari e di fatto sarebbe condizionata da un piccolissimo drappello di “fedelissimi” del Primo Ministro. Una riforma che mortifica, quindi, con un “sol colpo” il Parlamento, i Parlamentari ed anche la maggioranza parlamentare, qualsiasi essa sia, che annulla la distinzione tra potere esecutivo e potere legislativo, uno dei principi cardine dei sistemi politici democratici e, con il venir meno di questa distinzione, pone le sorti della prosecuzione della legislatura del Parlamento, di fatto, nelle mani di un solo uomo.
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Un federalismo di facciata
Siamo di fronte ad una riforma che, più che compiere alcune necessarie aperture a sani elementi di regionalismo e protagonismo degli enti locali e delle autonomie, ha solo l’apparenza di un “punto di svolta” verso una Repubblica “federale”, proponendo quello che alla fine appare un federalismo di facciata. Il
Senato diviene “federale” ma sia i Deputati che i Senatori continuano a rappresentare la Nazione tutta e non un territorio di essa, come chiarisce senza tentennamento alcuno l’articolo 67 della Costituzione riformata; ed essendo il Senato “federale” la somma di tutti i Senatori “nazionali”, non si capisce in cosa risieda la sua prerogativa “federale”. Ma questo federalismo posticcio presenta comunque un aspetto grave: una presenza reale ed esplicita, una sorta di “testa di ponte” nella Costituzione del retropensiero secessionista di alcune forze politiche senza, tuttavia, il coraggio di dichiararlo apertamente. Questo “federalismo” maschera infatti una cultura che vorrebbe rompere il sistema integrato e coeso della società italiana e dei territori che ne sono la unitaria espressione, creando zone del paese con una sanità, una scuola ed una rete di protezione sociale efficiente e altre in cui, per effetto dei minori redditi e delle minori fonti perequative, sarebbero destinati a restare endemici ed ineliminabili ritardi pluricentenari.
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L’indebolimento del potere legislativo
Questo falso “federalismo” incide pesantemente sullo stesso meccanismo di formazione delle leggi, fatte sempre da Deputati e Senatori che rappresentano la Repubblica, una ed indivisibile, ma attraverso un meccanismo complesso, gravoso ed arzigogolato: l’introduzione di una competenza per materia distinta tra il Senato e la Camera dei Deputati
che, a cascata, comporta tutta una serie di istituti per inseguire e correggere i problemi che questa scelta crea. Un insieme di meccanismi, subordinate e organi legislativi che fanno comprendere che il lungo iter legislativo attuale, al confronto, verrebbe rimpianto per la sua semplicità efficienza ed efficacia.
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L’insofferenza ai contrappesi e alle garanzie costituzionali
Tutto il disegno della riforma denota la difficoltà ad accettare un sistema istituzionale nel quale esistano meccanismi di contrappeso ed istituzioni indipendenti di garanzia. Con affilata chirurgia l’intera riforma cerca infatti di sottrarre indipendenza ad ogni organismo costituzionale che possa riequilibrare o anche solo scalfire il potere dell’esecutivo e della maggioranza. Vengono per questo sottoposte a forte “dimagrimento” le figure indipendenti in molti organismi fondamentali, quali ad esempio il Presidente della Repubblica, che non avrà più il potere di sciogliere le Camere; la Corte Costituzionale, in cui aumenteranno i membri di nomina parlamentare; il Consiglio Superiore della Magistratura, in cui potranno essere nominate persone considerate politicamente “affidabili” anche senza nessuna competenza giuridica.



3.
La Direzione nazionale inoltre intende confutare facili e sommari slogans propagandistici dei sostenitori della riforma.
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Il beneficio economico della riduzione del numero dei parlamentari
Il problema non è la riduzione del numero dei parlamentari (peraltro procrastinata al 2016) ma la riduzione del loro costo e dei privilegi economici e non, spesso ingiustificati, di cui godono. Questi costi e privilegi non sono contenuti nella Costituzione e quindi non è a partire da essa che si potrà incidere efficacemente per ridurli. L’eticità e la moralità della politica non dipendono dal numero delle persone che sono al suo servizio ma dal loro comportamento e dal modo in cui interpretano il loro mandato. Recuperare una moralità della politica, ridurre le ostentazioni del potere, ridurre i costi, riportare il mandato parlamentare allo spirito di servizio reso al paese e non del privilegio, sono azioni che non hanno nulla a che vedere con la Costituzione e che non si assicurano necessariamente attraverso la riduzione dei Parlamentari eletti. E’ rimasto stabile il numero dei membri del Parlamento, mentre invece sono cresciuti esponenzialmente i costi, diretti ed indiretti, per il suo funzionamento: la semplice riduzione dei parlamentari non invertirebbe per nulla questa tendenza, anzi ridistribuirebbe le risorse su di un numero ancora più limitato di persone.
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Un primo ministro che abbia almeno i poteri di un Sindaco
Esiste la tendenza a voler equiparare le competenze di organi di governo e legislativi di diversi livelli. Si tratta di una tendenza che confonde ruoli e prerogative. Un Primo Ministro ed il suo governo possono incidere sulla vita reale di tutti i cittadini italiani, possono appoggiare in politica estera uno Stato invece che un altro, possono prendere provvedimenti di ordine pubblico ed attivare le forze di polizia, possono determinare le modalità di impiego dell’esercito. Un sindaco tutto questo non lo può fare, nemmeno in misura ridotta, nel suo territorio. Si tratta di soggetti completamente diversi. Così come diverse sono le competenze del Parlamento nazionale e di un Consiglio Regionale. E’ vero che entrambi emettono leggi, ma il primo ha competenza sui nostri diritti, può creare nuove figure di reato, restringere la nostra libertà personale, autorizzare trattati internazionali, decidere interventi militari. E’ pertanto scorretto presentare una riforma costituzionale facendo intendere che Sindaco e Primo Ministro sono simili quanto a ruoli.



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E’ una modifica alla sola II parte della Costituzione
E’ mistificatorio presentare una legge di revisione costituzionale che incide solo sulla II parte della Costituzione come una riforma che non tocca i principi fondamentali. Essi infatti trovano attuazione attraverso i meccanismi previsti nella seconda parte della carta costituzionale. E’ la seconda parte che dà concretezza applicativa ai principi dell’uguaglianza, della solidarietà, che regola alcuni meccanismi di garanzia. E’ quindi falso far apparire questa riforma come meramente “organizzativa” del funzionamento dello Stato: le sue norme stravolgono nella parte applicativa i principi fondamentali contenuti nella I parte della Costituzione.

4.
A fronte di così tanti elementi negativi la Direzione Nazionale non può che esprimere il proprio dissenso davanti ad una riforma costituzionale che non migliora la governabilità e la partecipazione popolare, non promuove il principio di sussidiarietà e non valorizza la società civile, non adegua l’ordinamento statuale ai nuovi scenari europei sovranazionali. Tende a creare norme che corrispondono a disegni parziali e contingenti di alcune forze politiche, che mirano al localismo anziché al regionalismo ed al protagonismo delle autonomie locali. Invece di guardare ad un’Europa federale, rischia di produrre l’indebolimento e l’isolamento dei territori regionali italiani, senza tenere conto, per mera miopia politica, che persino un’Europa federale appare oggi troppo piccola rispetto a grandi “sistemi-Stato” come la Cina o l’India, oltre agli Stati Uniti.

La Direzione Nazionale ritiene che in questo momento sia prioritario sostenere le ragioni del NO a questa riforma. Auspica che i mezzi di informazione, pubblici e privati, mettano i cittadini in condizione di comprendere la natura e le conseguenze del voto che andranno ad esprimere, attraverso un’informazione corretta e trasparente, che metta al riparo il voto dalle strumentalizzazioni politiche.

Auspica infine che, non appena sarà scongiurata questa riforma costituzionale, le forze politiche della maggioranza e dell’opposizione, vogliano dialogare con la società civile ponendo mano ad un adeguamento della Carta Costituzionale per rispondere alle sfide attuali del Paese e rinnovare i valori che sono alla base della nostra civile convivenza.

Per questi motivi la Direzione Nazionale delle Acli esprime il suo netto dissenso alla legge di riforma costituzionale sottoposta a referendum confermativo i prossimi 25 e 26 giugno. Invita i propri associati ed i cittadini italiani ad andare a votare, convinti e consapevoli, NO alla sua approvazione e le Presidenze Provinciali e Regionali ad aderire e a sostenere le strutture dei Comitati
per il NO al referendum.



DIREZIONE NAZIONALE ACLI
Roma, 25 maggio 2006




Inserito da: Veronica Boncimino - Data: 26/05/2006 - Argomento: Archivio
Roma, 23 novembre 2005. Il momento della firma. (ANSA)

I numeri di telefono del Comitato Promotore per la raccolta delle firme

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