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LIBERAZIONE – 18 APRILE 2006

E ora il referendum costituzionale

di Franco Russo - Responsabile del dipartimento Democrazia e politiche costituzionali del Partito della Rifondazione Comunista



Per cercare di comprendere quale siano i motivi e gli obiettivi che hanno spinto Berlusconi a una campagna di delegittimazione del voto delle elezioni politiche, si potrebbero elencare l’interesse personale a difendere il suo impero mediatico e le sue molteplici attività industriali e finanziarie; oppure l’uso spregiudicato del ‘plusvalore politico’ che deriva dall’esercizio del potere pur di non perderlo, spingendosi ai confini del sovversismo tipico delle classi dirigenti italiane (come ci avvertì Gramsci a proposito della nascita dell’autoritarismo fascista). Penso che, insieme a tutto ciò, vada considerato che
Berlusconi da anni si muove in una logica di rottura della Carta costituzionale del ’48. La rottura sta nell’esaltazione della democrazia maggioritaria, d’investitura, a scapito della democrazia costituzionale: l’insofferenza per le regole è il frutto della concezione plebiscitaria che vede nel voto popolare solo la legittimazione del ‘capo carismatico’, che ora benché sconfitto vuole continuare a essere l’interprete indiscusso della volontà del popolo, invece di essere il referente – a tre punte ? – dell’opposizione. Berlusconi vede come unici attori della dialettica politica i ‘capi’, e concepisce la dinamica democratica solo come un’utile finzione, che copre la realtà della lotta tra poteri. Questo spiega la delegittimazione permanente delle istituzioni siano esse quelle della magistratura, siano esse quelle parlamentari. Questa cultura del plebiscitarismo spiega la sua avversione per la democrazia costituzionale con i suoi vincoli e i suoi limiti, e la sua slealtà verso la Costituzione, condivisa dai suoi alleati con cui ha elaborato e approvato la Modifica della sua intera Parte seconda. Proprio perché il suo governo non ha mai rispettato i dettami costituzionali, è divenuto fomite di conflittualità, di scontri interistituzionali, di lotta distruttiva verso gli avversari continuamente demonizzati come nemici. Così Berlusconi ha sempre cercato di impadronirsi della ‘cosa di tutti/e’, della cosa pubblica, manipolandola a fini privati: è arrivato al punto di distorcere la legge, astratta e generale (caratteri stabiliti con le rivoluzioni liberali), per tutelare interessi propri giungendo a una privatizzazione della funzione legislativa. Nella Stato pre-moderno il patrimonio fondava e legittimava il potere politico, ora – è una notazione di Dogliani – il potere politico alimenta il patrimonio in un circolo in cui la ricchezza e il potere mediatico si appropriano della ‘cosa pubblica’ e questa moltiplica la ricchezza. Insieme alla generalità e all’astrattezza della legge, fondamenti dell’uguaglianza formale, si manomette la rappresentanza democratica nazionale perché il legislatore ha approvato leggi in suo favore, ha prodotto atti di diritto pubblico con finalità privata, a favore di sé stesso e dei suoi interessi particolari. Anche sul piano della politica costituzionale i governi di Berlusconi hanno rappresentato una rottura, perché invece di perseguire una linea ‘integrativa’ al fine di garantire l’esistenza e la durata della Costituzione, intesa come ‘tavola dei valori e dei principi’ che sono posti a guida della scelte delle istituzioni, hanno cercato di imporre una visione di parte, come se la Costituzione fosse opera e nella assoluta disponibilità della maggioranza. Si sono ispirati sempre a Gianfranco Miglio, secondo il quale la costituzione è un patto che i vincitori impongono ai vinti. Essa al contrario esprime il patto d’unione, il pactum societatis, che limita le maggioranze per evitare che i valori e le istituzioni fondamentali, cioè la Repubblica, divengano ‘oggetto di proprietà’ di una sola parte.
Se si seguisse la massima della Corte costituzionale – ‘sulla Costituzione non si vota’ – la linea che dovrebbero seguire anche le forze politiche sarebbe quella di inserirsi nella ‘comunità degli interpreti’ per far avanzare i diritti e la democrazia attraverso la lotta sociale e istituzionale, senza rotture del quadro costituzionale. Ancora oggi, dopo le elezioni, dinnanzi a chi delegittima perfino le procedure democratiche elettorali, ci sono giuristi ed esponenti politici del centro-sinistra che si ostinano a seguire il centrodestra nella linea della ‘grande riforma’. Si sono letti proposte e giudizi sconcertanti, come quelli di Augusto Barbera secondo cui si dovrebbe approvare una ‘leggina’ per rinviare il referendum sulla controriforma costituzionale, chiesto da ben 830 000 cittadini/e, da parlamentari e da 14 Consigli regionali (più quello della Lombardia), al fine di consentire al nuovo Parlamento di mettere le mani sul testo della controriforma dell’intera seconda Parte della Costituzione per renderla accettabile (Avvenire 14 aprile).
Rifondazione comunista-Sinistra europea non è d’accordo né per rinviare il referendum oppositivo, che chiediamo si tenga lo stesso giorno del secondo turno delle amministrative (quindi l’11 giugno), né di migliorare il testo della controriforma che vogliamo invece cancellare. E su questo il programma dell’Unione parla chiarissimo: al referendum tutto il centro-sinistra si è impegnato a votare no, senza se e senza ma. A quanti si ostinano a chiedere di mettere le mani sulla Costituzione, diciamo che noi seguiamo la massima che sulla ‘Costituzione non si vota’ perché non è nella disponibilità di nessuno, maggioranze comprese, dunque anche di quella dell’Unione. La nostra proposta alternativa alla controriforma del centrodestra c’è, è la Carta del ’48. La Costituzione è stata delegittimata da più di vent’anni di tentativi di snaturarla – tre sono state le Bicamerali e tutte lesive delle procedure previste dall’articolo 138 – in nome di una democrazia ‘decisionista’, antiparlamentare, accentratrice del potere nella figura del premier; ora con il referendum oppositivo non solo dobbiamo cancellare la controriforma ma ricostruire le basi della legittimazione popolare della nostra Carta repubblicana. Al premierato assoluto, alla distruzione delle istituzioni di garanzia (dal Presidente della repubblica alla Corte costituzionale, al CSM), alla divisione dell’ordinamento giuridico unitario che con la devolution rompe l’universalità dei diritti universali, occorre dare nuova linfa alla Costituzione, che come ebbe a dire Calamandrei era presbite, guardava lontano perché è un progetto incardinato nei diritti della persona e della democrazia: da attuare ancora, prima di pensare a modificarlo.



Inserito da: Veronica Boncimino - Data: 19/04/2006 - Argomento: Archivio
Roma, 23 novembre 2005. Il momento della firma. (ANSA)

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