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Coordinamento nazionale delle iniziative per la difesa della Costituzione e per il referendum contro il progetto di riforma della II parte della Costituzione
L'INCUBO DELLA TERZA REPUBBLICA - DI FRANCO BASSANINI
pubblicato in Il Diario del 25 giugno 2006

L'incubo della Terza Repubblica

di Franco Bassanini


pubblicato in Il Diario del 25 giugno 2006


Pochi tra gli italiani sanno che il 25 e 26 giugno potremmo assistere alla nascita della Terza Repubblica. Una Terza Repubblica dai connotati radicalmente diversi dalla Prima e dalla Seconda, in fondo figlie della stessa madre. Di questo mostricciatolo (la Terza Repubblica) molti italiani, tutti coloro che avranno votato SI nel referendum, saranno i padri, per lo più inconsapevoli.
Molti tra loro, penseranno di aver votato sulla riduzione del numero dei parlamentari, più qualche altro dettaglio minore: così dicono infatti i messaggi di comunicazione istituzionale trasmessi dalle reti Mediaset nelle ore di maggiore ascolto. Ma non molto meglio fa la Rai, della cui imparzialità e correttezza i partiti della nuova maggioranza, troppo impegnati a spartirsi ministeri e sottosegretariati, non hanno ancora avuto il tempo di occuparsi (come, per vero, ben poco si sono occupati della campagna referendaria...).

Così, quegli italiani non sanno che tra qualche giorno l'Italia potrebbe avere, grazie al loro inconsapevole voto,
una Costituzione nuova. Una Costituzione del tutto diversa da quella che abbiamo conosciuto fin qui, e che - bene o male - ha garantito all'Italia sessant'anni di convivenza pacifica e di crescita civile e economica: nel quadro di quella Costituzione, i conflitti politici e sociali anche aspri che hanno diviso il nostro Paese non hanno mai degenerato in guerre civili, i lavoratori e le donne hanno conquistato storici diritti, le istituzioni hanno subito trasformazioni anche importanti (si pensi all'elezione diretta dei sindaci, o alla legge elettorale maggioritaria), senza mai esporre a rischi il sistema democratico.

Quando la Costituzione repubblicana fu approvata, nel 1947, con il concorso di tutte le forze politiche che avevano combattuto per la liberazione dalla dittatura e per riconquistare libertà e democrazia, lo scontro politico già spaccava in due il Paese: ma la Costituzione rappresentò, e restò per decenni, il punto di incontro, il fondamento della comune convivenza, la tavola dei valori, delle regole, dei diritti e delle libertà che tutti rispettano e in cui tutti si riconoscono; il fondamento dell'identità nazionale. Certo ha sessant'anni. Ma, come la Costituzione tedesca (che ne ha altrettanti) o quella americana (che ne ha duecento), meriterebbe un'attento restauro e qualche ammodernamento, non un radicale stravolgimento.

Di questo invece si tratta. Se vince il SI nel referendum, ogni maggioranza politica potrà rivendicare il diritto di riscrivere la Costituzione a suo uso e consumo. E dunque - unica tra le grandi democrazie contemporanee - in Italia sarà travolto il principio della supremazia e della stabilità della Costituzione. Non avremo più, di fatto, una tavola dei diritti e delle regole sottratta ai rischi e alle mutevoli vicende delle competizioni elettorali. E' vero che quel principio è già stato, sciaguratamente, leso nel 2001, con
la riforma del titolo V: ma la riforma del titolo V concerneva un solo segmento del disegno costituzionale (5 articoli invece di 53), nasceva da un progetto largamente condiviso, conservò sino alla fine un sostegno bipartisan (tra i Presidenti di Regione e i sindaci di sinistra e di destra), ed era coerente con i principi e i valori fondanti della
Repubblica (l'articolo 5 della Carta).

Nulla di tutto ciò vale oggi. La riforma Bossi-Berlusconi
dà veste costituzionale formale alla costituzione materiale plebiscitario-populista che ha dominato la scorsa legislatura: quella per cui chi vince le elezioni non ha solo il diritto di governare, e di avere gli strumenti per farlo, ma ha il diritto di occupare le istituzioni, appropriarsi della Costituzione e farla a pezzi, negare ogni principio di legalità, travolgere le istituzioni di garanzia.

La
nuova forma di governo che viene introdotta - anch'essa unica al mondo - presentata come un modo per dare ai cittadini il potere di scegliere direttamente il Governo, finisce in realtà per assomigliare molto a una dittatura elettiva (anche Hitler andò al potere a seguito di libere elezioni!). Sovrano per un giorno, il giorno delle elezioni, il popolo ridiventerebbe suddito per i successivi cinque anni, dato che in quel giorno, scelto il Capo, gli avrebbe delegato pieni poteri per l'intera legislatura.

Beninteso: nelle moderne democrazie maggioritarie e bipolari, le Costituzioni prevedono meccanismi di stabilizzazione delle maggioranze, e danno a chi vince le elezioni poteri e strumenti adeguati per governare, per attuare il programma approvato dalla maggioranza degli elettori. Ma, nel contempo, definiscono limiti rigorosi ai poteri dei governi e delle maggioranze, e costruiscono argini solidi (forti istituzioni di garanzia) per evitare che le maggioranze travalichino, m9nacciando diritti e libertà delle minoranze e minando l'intangibilità delle regole democratiche e dei principi fondamentali della Costituzione. Questo secondo fondamentale pilastro della democrazia moderna è scardinato dalla riforma Bossi-Berlusconi: che al premier dà una legittimazione popolare diretta, simile a quella di cui gode il presidente USA; ne fa il capo indiscusso del Governo, come lo è Gorge Bush; ma gli dà anche il potere di sciogliere la Camera dei deputati, che Bush non ha; di emanare atti con forza di legge, che Bush non ha; di farsi dare deleghe legislative, che Bush non ha; di mettere la questione di fiducia sulle leggi, per costringere il Parlamento a votarle, altro potere che Bush non ha. Dunque, a un Presidente forte, negli USA corrisponde un Parlamento forte, e da lui non condizionabile. In Italia, un premier forte dominerebbe una Camera dei deputati subalterna e ricattabile (con la minaccia di scioglimento), un Capo dello Stato privato dei suoi principali poteri di garanzia, una Corte costituzionale lottizzata dai partiti, un Parlamento paralizzato dalla confusa e ingestibile divisione di competenze fra Camera e Senato.

Non meno inedito e avventuroso è il modello seguito per riformare il nostro sistema federale. non Neanche alla California e al Texas sono riconosciute competenze legislative "esclusive" (grazie alla "supremacy clause" il Congresso degli Stati Uniti può infatti sempre legiferare a tutela dell'eguaglianza dei diritti dei cittadini Usa e dell'unità della federazione: e pluribus unum!). Né, per converso, alcun Governo federale dispone del potere di bloccare qualunque legge regionale solo perché la giudica in contrasto con l'interesse nazionale. Entrambe le cose sono singolarmente previste nell'intruglio costruito nella baita di Lorenzago.

Una pessima riforma dunque. Che smantella una Costituzione ancora viva e vitale, quando basterebbe attuarla con rigore e ammodernarla con puntuali emendamenti. E la sostituisce con un inedito guazzabuglio tra populismo peronista, secessionismo leghista e rigurgiti di vecchio centralismo. Una miscela pericolosa, criticata duramente dalla quasi totalità dei costituzionalisti, di sinistra, di destra e di centro. Un salto nel buio, visto che nessuna delle innovazioni proposte corrisponde ai modelli sperimentati nelle grandi democrazie. Un esperimento da apprendisti stregoni, che si vorrebbe far pagare a un paese che ha ben altri problemi da affrontare e risolvere.

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Inserito da: Lidio Maresca - Data: 25/06/2006 - Argomento: Archivio